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Friday, March 27, 2015

La Shell ci riprova a trivellare in Artico con il 75% di possibilita' di incidente







Update: Oggi 15 Giugno la piattaforma Polar Pioneer lascia il porto di Seattle per l'Artico. Un gruppo di kayaktivisti della citta' e di Greenpeace ha bloccato l'uscita dal porto. Varie persone sono state arrestate fra cui anche il consigliere comunale della citta' Mike O'Brien. Bravo, che si e' esposto.





** Grazie a Matilde Brunetti **

Che lungimiranza!


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Il sindaco dice che la Shell deve prima farsi approvare un permesso speciale: per i rischi di inquinamento e di perdite nel mare dalle sue attrezzature

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Oceano Pacifico, 12°N 162°E. Arriva il mostro galleggiante in mare - la piattaforma Polar Pioneer, trasportata dal rimorchiatore Blue Marlin. Piattaforma e rimorchiatore sono diretti a Seattle, da dove partiranno poi alla volta dei mari Artici alla ricerca di petrolio. Assieme a lei la nave Noble Discoverer.

Direzione finale: Chukchi Sea, Alaska dove vivono foche, trichechi, balene e orsi polari.

La Polar Pioneer è di proprietà della Transocean Company, la stessa compagnia che possedeva la piattaforma Deepwater Horizon esplosa nel golfo del Messico nel 2010, causando il più grande sversamento di petrolio nella storia degli Stati Uniti.

Sicuramente un bel biglietto da visita!

In realta' e' da diverso tempo che la Shell cerca di trivellare nell’Artico - una specie di sport estremo per i petrolieri.

Due anni fa, al posto della Polar Pioneer, la Shell aveva ingaggiato la piattaforma Kulluk provocando ogni sorta di disastro di cui abbiamo parlato anche da questo blog. Il 1 gennaio del 2013 la Kulluk, in balìa del vento e del mare artici, si era sganciata dal rimorchiatore e si era allegramente schiantata contro l’isola di Sitkalidak, in Alaska.

Il disastro ambientale fu evitato solo grazie all’intervento della guardia costiera americana. Ci furono multe, indagini e la conclusione che la Shell non era preparata per questa impresa. Come sempre e' importante ricordare che trivellare l'Artico e' ancora piu' pericoloso che trivellare terra e mari piu "temperati" perche' nessuno sa come pulire i ghiacciai e come intervenire a temperature estreme. Non ci sono tecniche, non ci sono protocolli.
 



Dopo due anni di pausa, la Shell corre di nuovo verso i mari estremi dell’Alaska.

Si corre, perche' circa un mese fa l’amministrazione Obama aveva timidamente proposto nuove regole che renderebbero le operazioni offshore in Alaska un po piu' sicure per l’ambiente, ammesso che lo si possa fare, ma che aumenterebbero i costi per le compagnie.

Qui in Alaska, secondo l'impatto ambientale redatto dal Bureau of Ocean Energy Management e' emerso che sussiste il 75 percento di possibilita' che ci siano incidenti e rilasci accidentali a mare di petrolio. Portrebbero essere danneggiate circa 6,000 balene e 50,000 foche, con danni a tutte le specie marine anche in condizioni "normali". Ci saranno probabilita' di rilascio in mare di inquinanti.. rumori che disturberanno la vita marina, e ovviamente aumento di emissione di gas serra in atmosfera se si guarda al tutto in grande scala. La comunita' che sara' maggiormente impattata dalle trivelle sara' quella degli Inupiaq, 13,500 persone che vivono di pesca lungo le coste dell'Alaska con tradizioni millenarie in simbiosi con il mare e le sue creature.

Gli attivisti discesi sulla Casa Bianca ricordano ad Obama che non si puo' servire due padroni: da un lato parlare di lotta ai cambiamenti climatici nei convegni internazionali ed allo stesso tempo voler trivellare l'intrivellabile.

Le proteste sono dappertutto: a Seattle, dove i residenti non vogliono che il loro porto venga usato per fare da supporto logistico alla Shell.

Intanto Greenpeace manda un gruppo di sei persone sulla nave Esperanza a vedere come procedono le operazioni della Shell. Gli si puo' mandare un tweet con l'hashtag #TheCrossing.

Quali sono queste regole per operare in mari cosi difficili come quelli dell’Artico?

I petrolieri dovranno mostrare di oter rispondere in modo adeguato e rapido in caso di possibili incidenti. Gli equipaggi dovranno sempre avere con se sistemi e mezzi per intervenire immediatamente senza aspettare arrivi dalla terraferma. Mi pare il minimo, no? Ma a Shell e compari questo non piace.

Intanto, secondo l’impatto ambientale redatto dal Bureau of Ocean Energy Management se la Shell dovesse trivellare in Artico sussiste il 75 percento di possibilità che ci siano incidenti e rilasci accidentali a mare di petrolio. Il settantacinque per cento. Portrebbero essere danneggiate circa 6,000 balene e 50,000 foche, con danni a tutte le specie marine, anche in condizioni “normali”.

Ci saranno alte probabilità di rilascio in mare di inquinanti, rumori che disturberanno la vita marina, e ovviamente aumento di emissione di gas serra in atmosfera. La comunità che sarà maggiormente impattata dalle trivelle sarà quella degli Inupiaq, 13,500 persone che vivono di pesca lungo le coste dell’Alaska con tradizioni millenarie in simbiosi con il mare e le sue creature. Questo lo dice un ente governativo.

Intanto, numerosi attivisti si sono presentati alla Casa Bianca per ricordare il 26-esimo arrivesario di un altro incidente, quello della Exxon Valdez nel 1989 da cui l'ecosistema ha ancora da riprendersi.

Gli attivisti, fra cui il presidente di Sierra Club, ha ricordato che le mire della Shell sono dirette a localita' ancora piu remote che Prince William Sound, la zona dove finirono in mare circa 11 millioni di galloni di petrolio, inquinando piu di 1300 miglia di costa. Ancora adesso la vita marina ne soffre le conseguenze e si possono ancora trovare tracce di petrolio lungo la costa.

Nonostante le robanti promesse di ripulire tutto, ventisei anni fa, fu portati via solo il 14 percento del petrolio che fini' in mare. Il resto si disperse nel mare da solo. Gli attivisti ricordano ad Obama che non si può servire due padroni: da un lato parlare di lotta ai cambiamenti climatici nei convegni internazionali ed allo stesso tempo voler trivellare l’intrivellabile.

Le proteste sono dappertutto: oltre alla Casa Bianca, a Seattle, dove i residenti non vogliono che il loro porto venga usato per fare da supporto logistico alla Shell. Addirittura la città di Seattle ha ufficializzato il no all’uso del suo porto, mandando una lettera a Sally Jewell, chiedendole di valutare attentamente se trivellare in Alaska sia prudente e/o possibile.

Forse l’atto più coraggioso arriva da sei intrepidi volontari di Greenpeace che sulla nave Esperanza seguno la Shell e cercano di capire cosa esattamente stanno facendo

Qui la piattaforma Kulluk, allegramente alla deriva nel 2012.



























 

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