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Monday, July 6, 2015

Stefano Agnoli e il petrolio d'Italia

Our beloved California coastline, May 2015


I temi sono gli stessi di sempre: le tiritere stanche ed insensate che continuo a leggere da otto anni a questa parte e che mostrano la pochezza delle argomentazioni di quelli che dicono: trivelliamo l'Italia.

Sono argomenti ridicoli, perche' ridicola e' la tesi a cui si vuole arrivare: e cioe' dire che trasformare l'Italia in un enorme campo petrolifero, si puo'.

Azerbaigian, Iraq, Russia e Arabia Saudita. Sarebbe sufficiente scorrere la lista dei primi Paesi dai quali l’Italia importa petrolio per convincere gli scettici che dare maggior impulso alla produzione nazionale e’ un tema che meriterebbe un dibattito meno ideologico. 

Prima nota: sono otto anni che faccio questo lavoro ed in me non c'e' nessuna ideologia. Ci sono dati, fatti, osservazioni empiriche, conclusioni logiche di una persona intelligente. E, tanto per essere chiari, non ci sono invece lobby, soldi, inciuci.

Mi domando se l'ideologia (o la lobby e i portafogli) stanno dal lato di chi insiste con le trivelle invece?

Seconda osservazione: le migliori stime dicono che piu' del 10% del fabbisogno nazionale non riusciremo a tirar fuori, seppure trivellassimo ogni angolo d'Italia - incluso Piazza San Pietro e il Duomo di Milano. Per cui, resteremo sempre clienti di Azerbaigian, Iraq, Russia e Arabia Saudita, che ci piaccia o no, caro Mr. Agnoli.

Vogliamo liberarcene? Benissimo. La strada non e' fare buchi in Italia. La strada e' usare il sole, il vento, il risparmio energetico, la programmazione e l'innovazione. Ma qui non ci sono lobby e pressioni, vero Agnoli?

Non si tratta solo di una questione monetaria - nei primi quattro mesi del 2015 abbiamo comunque versato nelle loro casse piu’ di 7 miliardi di euro - ma in ogni caso anche ambientale. Qualcuno e’ disposto a credere che in quegli Stati l’estrazione di greggio avvenga in condizioni di rispetto superiori a quelle italiane?

Qual'e' la logica di queste parole? Di nuovo con la corsa al ribasso? Che siccome trivellano loro, e inquinano il loro ambiente dobbiamo farlo pure noi? In quei paesi li le donne hanno diritti poco e niente, l'ISIS e' dietro l'angolo, le societa' sono disfunzionali, ci sono ricconi e ci sono morti di fame e niente in mezzo.  La democrazia non esiste. Se vogliamo essere l'Arabia Saudita trivellando l'Italia, perche' non copiare anche tutto il resto? Il velo per tutte, la pena di morte per adulterio, le mani mozzate ai ladri. Avremmo una societa' molto piu' ordinata, no?

Ma andiamo con ordine. L’Italia, dopo Regno Unito, Norvegia e Olanda, ha in Europa le maggiori riserve di idrocarburi. Il Paese ha faticato per anni a navigare lungo la Grande Crisi, e allora perche’ trascurare questo piccolo tesoretto in un periodo di conti in rosso e di elevata disoccupazione? Meglio lasciar andare tutti quei miliardi (sono una trentina nell’arco di un anno) ad arricchire sultanati e potentati vari o provare a trattenerne almeno una parte? L’Italia non e’ il Texas, e probabilmente non lo sara’ mai, ma quanto farebbe comodo che quei potenziali ricavi da petrolio siano tassati su territorio nazionale, e che le royalties finiscano agli enti locali? Tutto ciò, peraltro, non significa mettersi nelle mani degli interessi delle compagnie petrolifere. Loro, in ogni caso, preferiscono produrre in posti sicuri come l’Italia, piuttosto che arrischiarsi in turbolente aree del mondo. 



Ancora con questa faccenda del tesoretto? Da dove vengono questi numeri? Chi li compila?  E tutto il resto che perdiamo dove lo conteggiamo, chi lo conteggia? L'Italia ha gia una sua economia ed e' un paese densamente abitato. Forzarci sopra il petrolio non portera' ad una coesistenza facile. Ad esempio, il prezzo da pagare - morale ed economico - di tutti quei nuovi malati di cancro,  che sicuramente ci saranno, chi lo stima? Chi vorra' andare al mare a vedere trivelle, pozzi, navi FPSO, raffinerie? Chi vorra' comprare casa con vista trivelle? 

Qualcuno ha mai calcolato quanti soldi *collettivi* sono andati persi, per dirne una, con l'ILVA di Taranto o con la raffineria di Gela che hanno potato un po di lavoro negli anni passati, al prezzo di incontenibili cicatrici di morti, ospedali, malattie, vite spezzate? Qualcuno ha mai calcolato quanto valgono i tesoretti (o potrebbero valere se lo si sapesse fare!) del turismo o dell'agricoltura italiana che moriranno se le petro-industrializziamo?  Qualcuno ha mai calcolato che ne sarebbe stato oggi di Taranto se invece che costruire quel mostro blu che spara polverine rosse dappertutto ci si fosse concentrati su turismo ed agricoltura e attivita' industriali meno impattanti? 

Ma poi, suvvia, nel 2015 ancora a parlare di buchi di petrolio, come ebeti!!! Quello si faceva 150 anni fa. Possibile che non sappiamo *pensare* di meglio???

E allora perché non barattare questa sicurezza con più stringenti e soprattutto verificabili vincoli ambientali? Vuoi estrarre petrolio in Italia? Fallo con certezza di diritto e massimo rispetto ambientale, ma se una sola goccia va in mare, o altrove, la pagherai tanto salata da pentirtene. 

Intanto perche' NON ESISTE sicurezza che sia veramente sicura, caro Angoli. 

La prova e' nel nostro stato di California, dove nonostante tutto - multe pesanti, una societa' attenta e arrabbiata - ogni tanto lo scoppio ci scappa.  Vedi Santa Barbara. La prova e' in Norvegia, dove anche li, ogni tanto succede l'irreparabile, che sia subsidenza indotta, inquinamento a mare o riversamenti. Solo che in Norvegia e' tutto in mare aperto e non si vede. In Italia vogliono venire a trivellare sotto costa.  E' solo questione di tempo, e non ci sara' mai nessun "massimo rispetto ambientale".

Petrolio e ambiente sono incompatibili. Punto. Tant'e' che in California e' dal 1969 che neanche ci si pensa a installare nuova infrastruttura petrolifera a mare Quello che c'e' e che e' scoppiato a Santa Barbara e' retaggio di generazioni fa. E senza nuovi buchi non e' ancora morto nessuno. Siamo ancora l'ottava potenza economica del mondo.

E poi, in Italia mai e successo e mai succedera' che qualcuno paghi veramente per colpe ambientali. Gli alberi e i pesci non protestano. Muoiono in silenzio. E non c'e' molta differenza quand'anche dovessero morire le persone. Se l'ILVA ancora adesso e' in funzione, dopo tutti quei morti, vuol dire che non c'e' scandalo che tenga in questa nazione.Vuol dire che chi inquina in Italia e' de facto esente da punizioni. Se non meritava l'ergastolo chi ha permesso che generazioni intere respirarassero aria malata, io non so cosa altro lo merita. Questo succede perche' chi dovrebbe punire non ha strumenti o peggio, la volonta' per farlo, oppure e' appesantito da lobby e burocrati che impongono il tuttapposto. 
Morale: mettiamo le pezze e non risolviamo niente. Tanto e' sempre la vita di un altro.

Per dirne un'altra, il processo contro l'ENI per la subsidenza indotta presso la piattaforma Irma Carola a Ravenna e' stato archiviato dopo dieci anni senza colpevoli. Tuttapposto, nessun problema, avanti il prossimo. Ma la subsidenza c'e' stata e per davvero.

E se per restare ancora in tema, vogliamo ricordare lo schifo immondo che l'ENI ha combinato il Nigeria, Ecuador, e negli altri paesi del terzo mondo dov'e' andata e per il quale non ha mai pagato una lira di multa? O siccome l'inquinamento e' stato fatto in Nigeria, non vale?

Sappiamo, per di piu`, che i nostri vicini d’Adriatico, Croazia, Grecia, Montenegro e Albania, non vanno molto per il sottile e hanno in corso gare per aggiudicare concessioni esplorative. Un “no” generico e ideologico italiano alle perforazioni non li costringerebbe di certo a un passo indietro. 

Evidentemente lei non sa una cosa fondamentale che avro detto mille volte:  l'Italia ha iniziato a trivellare in Adriatico negli anni '60. Prima di tutti. Anzi ci sono pure scappati dei morti. Se fossimo stati veramente dei leader, avremmo capito, prima o poi, che sarebbe stato molto meglio mettersi d'accordo con i nostri confinanti per proteggere il mare invece che massacrarlo con airgun e buchi e fanghi. Croazia e compari semplicemente seguono il nostro sventurato esempio: il danno, caro Agnoli, l'abbiamo causato per primi noi e spetterebbe a noi creare rete per salvare il salvabile.

Una gestione del problema, e l’affermazione di una leadership politica, economica e tecnica, 
consentirebbe di certo migliori risultati. E’ una sfida difficile, certo. Ma forse vale la pena di affrontarla.

La leadership dei buchi? Oddio. Ma in che secolo viviamo? Siamo nel 2015, non nel 1960! La leadership di oggi si chiama: lotta ai cambiamenti climatici, sole, vento, idee, high tech, ricerca, innovazione. Si chiama Tesla, Germania, Solar Impulse. Non si chiama melma puzzolente.

Vuole veramente risultati migliori caro Agnoli? La risposta e' ispirarsi a Silicon Valley, non all'Arabia Saudita.

Ultimo consiglio: si faccia trivellare il suo comune di residenza e poi quello dove va al mare con la sua famiglia, e poi ci faccia sapere come se la passa all'ombra di centri oli, navi FPSO, pozzi e puzze.
Buona estate.






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