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Wednesday, September 30, 2015

Guendalina, Adriatico: ENI-Rockhopper inizieranno nuova linea di produzione ad Ottobre

Guendalina, ENI + Rockhopper






E mentre in Italia tutti discutono e nessun politico fa le cose giuste, i petrolieri si portano avanti. 

Si chiama Guendalina, e non e' una signorina, ma un pozzo di gas in Adriatico, di proprieta' congiunta fra ENI all'80% e della Rockhopper, ex Medoilgas per il restante 20%. Il pozzo esiste da vari anni ormai, a 25 chilometri circa dalla riviera romagnola, nei pressi di Ravenna. La concessione si chiama AC 35 AG e la produzione e' iniziata nel 2011 con i pozzi Guendalina 002, e Guendalina 003 dir.  Attualmente solo il Guendalina 003 dir e' attivo.

Siamo qui a 42 metri di profondita' e a circa 47 chilometri da riva.

I pozzi Guendalina 001 e 001dir sono del 1988 e fanno parte di concessioni scadute, dette AR 88 FR

Da Guendalina 003 dir hanno iniziato a trivellare un pozzo secondario qui il 1 Settembre 2015, nel silenzio generale, ed hanno appena annunciato di essere arrivati a 3,300 metri di profondita', tutto secondo i tempi ed i budget previsti. Il gas, secondo loro, c'e', e si puo' andare ancora piu' in profondita'. Ad Ottobre inizieranno la produzione vera e propria.

Il CEO della Rockhopper, Sam Moody, e' tutto felice perche' questo portera' loro ad "enhance our already strong cash position"  - e cioe' portera' piu soldi alle loro casse.

Un paio di domande: ci sono state consultazioni transfrontaliere con la Croazia su questa spinoff di Guendalina? Non credo. E con quale faccia allora abbiamo chiesto alla Croazia di eseguire consultazioni transfrontaliere? Non si sa. E' tutto a casaccio.

Io credo che i vari politicanti emiliani neanche lo sappiano di questo nuovo buco dell'ENI-Rockhopper. E va bene, un pozzo di piu, uno di meno che differenza vuoi che sia.




Monday, September 28, 2015

La Shell si ritira dall'Artico: la vittoria delle proteste

Avevano qui 16 concessioni. 
Il motivo e' lo stesso: costa troppo e il petrolio e' poco.




La Noble Harbor Discoveree ha preso e se n'e' andata. Non si sa dove le trivelle verrano "parcheggiate". Prima avevano pensato a Seattle, ma ovviamente...  ci hanno ripensato, a causa delle precedenti proteste.

La Shell li' e' come l'untore di Manzoni.



Londra

 
 Zurigo

Seattle

Danimarca










“Shell will now cease further exploration activity in offshore Alaska for the foreseeable future. This decision reflects both the Burger J well result, the high costs associated with the project, and the challenging and unpredictable federal regulatory environment in offshore Alaska.”

Dal comunicato ufficiale della Shell
28 Settembre 2015



La Shell abbandona volontariamente le trivelle in Artico, secondo un annuncio del 28 Settembre 2015. Fino a non molto tempo fa la ditta olandese aveva osannato l'enorme potenziale di petrolio e di gas nei mari del Polo Nord, e anzi per tre anni ha cercato in ogni modo di bucare l'Artico, di ottenere permessi e di vincere la battaglia dell'opinone pubblica, spendendo e spandendo in ogni direzione. In questi giorni improvvisamente, cambia tutto.

I nostri eroi annunciano infatti di avere trovato poco petrolio e gas e che per questo si ritirano dall'Artico per il futuro prossimo. Avevano investito almeno sette miliardi di dollari.

Di certo, quanti che siano stati i miliardi spesi, la battaglia dell'opinione pubblica non l'hanno vinta mai. Gli investitori sono preoccupati del calo dei prezzi di petrolio, e pensano che siano investimenti rischiosi, non tanto per l'ambiente quanto per i costi. Si parla di addirittura una fusione con la BG, altra ditte petrolifere. Trivellare in Artico non e' questione da poco, ci sono iceberg della stessa dimensione che l'isola di Manhattan e nessuno mai saprebbe cosa fare in caso di incidente o di perdite fra i ghiacci perenni.

Cosi annunciano che di petrolio, nel pozzo Burger J del Chukchi Sea c'e' ne' poco e... chiudono baracca e burattini. Interessante che gli ci sono voluti ben sette miliardi di dollari nonche' anni di errori, incidenti e pure denuncie per violazioni alla sicurezza nei tentativi passati per arrivare a questa conclusione.

L'annuncio della fine delle attivita' in Artico potrebbe costargliene altri 4.

Un altro possibile motivo della chiusura rapida del capitolo "Shell in Artico" e' dovuta al fatto che il CEO della ditta, Ben van Beurden, si sentisse in difficolta' nelle discussioni internazionali sui cambiamenti climatici dove lui -- e la Shell -- vorrebbero avere un posto di ruolo. In queste discussioni infatti, le trivelle petrolifere in Artico sono sempre additate come esempio di non compatibilita' della Shell con il desiderio di fermare i cambiamenti climatici. 

E quindi, non e' che la Shell vuole mollare gli idrocarburi, e' solo che invece del petrolio le e' piu' conveniente propinarci il solito "gas naturale di transizione". In pratica, si sono fatti un po di conti, e vendere gas come appunto metodo di transizione e tenersi l'immagine di ditta impegnata contro i cambiamenti climatici e' piu' redditizio per loro che estrarre petrolio in Artico.

E poi ci sono i permessi governativi. Obama ha autorizzato le trivelle in Alaska, ma ha pian piano posto limiti sempre piu' stringenti. E poi c'e' lo spettro Hillary Clinton, che ha gia' detto di essere contraria alle perforazioni di Artico. Questo crea ancora maggiori incertezze per la Shell per il medio termine, se Hillary Clinton dovesse vincere le elezioni del 2016.

Ad ogni modo e' una sconfitta pesante per la Shell, considerati gli investimenti fatti e la figuraccia a livello planetario.

E' invece una vittoria per tutti quelli che si sono impegnati per tre anni per fermarli, anni in cui la Shell ha visto la sua immagine crollare a picco. Dai kayaktivisti di Seattle fino alla LEGO che li ha mollati dal loro set di costruzioni grazie alle proteste da parte di mezzo mondo, non ci sono stati miliardi che hanno tenuto. . E cosi sono salve balene, orsi e trichechi, e un po anche le generazioni future.

Un altro passo in avanti.





Saturday, September 26, 2015

Google, Starbucks, WalMart, Siemens, Nike, H&M, IKEA: tutti a rincorrere il sole






Update: 6 Dicembre 2016 

Google annuncia che dal 1 Gennaio 2017 il 100% della sua elettricita' nei data center 
sara' da rinnovabili

Nel 2015 i data center di Google hanno usato tanta energia 
quanto l'intera citta' di San Francisco. 

Nel 2017 tutta l'energia verra' dalle rinnovabili, sole e vento.

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“We are the largest corporate purchaser of renewable energy in the world. 
It’s good for the economy, good for business and good for our shareholders.”

  Joe Kava, il senior vice presidente di infrastruttura di Google


Tutto questo e' colossale se si pensa che Google ha clienti in tutto il mondo - circa 1 miliardo di persone da gmail a youtube. Usano 13 data center in tutto il mondo: ciascuno di questi e' un complesso con centinaia di migliaia di computer.  Nel 2015 l'uso e' stato di 5.7 terawatt-ore, l'equivalente di due centrali da 500 megawatt a carbone. La transizione verso le rinnovabili e' ottimale anche per i costi, di Google e del consumatore medio: quando c'e' un acquirente di elettricita' cosi potente, il prezzo scende rapidamente, per tutti.

La transizione verso le rinnovabili sara' per il 95% con uso diretto di rinnovabili.  Ma... come faranno nei (pochi) posti dove l'infrastruttura da sole e vento non c'e' ancora? 

Nel corso degli anni, zitti zitti, Google ha creato accordi con produttori di rinnovabili in tutto il mondo per comprarne l'energia. Anche se non la useranno direttamente, cio' che acquistano la immetteranno in rete per l'uso comune, in modo da compensare l'uso di energia fossile se le rinnovabili nella localita' X non e' ancora disponibile. 
 
Questo fa si, che essenzialmente "regalano" alla rete tanta energia fossile quanto ne consumano in localita' X e la resistuiscono in localita' Y sottoforma di energia rinnovabile. 

Fra le varie infrastutture in uso: Minco, Oklahoma dove c'e' una centrale a vento che alimenta il centro dati di Google a Pryor, Oklahoma. 
Facebook, Amazon, Microsoft tutte hanno obiettivi simili e non sono lontane dal raggiungerli.

E se ci riesce Google, grande com'e' vuol dire che il tempo del sole e del vento e' adesso.

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26 Settembre 2015

Una miriade di colossi dell'economia mondiale promette di transizionare al solare.  Spero che lo facciano anche per amore, ma che sia per amore o per immagine, o per soldi, il risultato non cambia. E' un altro passo, piccolo o grande che sia, verso la fine delle nostre petrol-societa'.

In questi giorni Starbucks, Wal-Mart, Goldman Sachs, Siemens, Johnson and Johnson hanno promesso di transizionare completamente al solare nei prossimi anni, aderendo al progetto RE100 promosso da "The Climate Group" una non-profit americana fondata circa un anno fa, dopo la marica del clima a New York.

In totale sono 36 le mega-corporazioni che hanno volontariamente deciso di tagliare le loro emissioni di CO2 e di usare solo energia green. Oltre alle quattro su citate, fanno parte di RE100, la Nike, la Procter and Gamble, IKEA, Nestle, H and M.

Johnson and Johnson produce shampoo ed affini. Annuncia di voler arrivare al 100% di solare entro il 2050. Goldman Sachs, 100% solare entro il 2020, Nike 100% solare nel 2025. Steelcase produce mobili made in the USA. E' gia' 100% solare e cosi pure Voya International, fondo immobiliare. Amazon, Apple e Google hanno gia' attuato programmi solari molti anni fa. La Siemens dice che investira' 100 milioni di euro per passare al 100% rinnovabili entro il 2030.

In totale le trentasei socie di RE100 sono Alstria, Autodesk, BT Group, Commerzbank, DSM, Elion Resources Group, Formula E, Givaudan, Goldman Sachs,  H and M, IKEA Group, Infosys, J. Safra Sarasin, Kingspan, KPN, Johnson and Johnson, Marks & Spencer, Mars, Incorporate, NestlĂ©, Nike,  Philips, Procter and Gamble, Proximus, RELX Group, Salesforce, SAP, SGS, Starbucks, Steelcase, Swiss Re, UBS, Unilever, Vaisala, Voya Financial, Walmart e YOOX Group.

Non male, dopo un solo anno di attivita', e segno che la grande marcia di un anno fa ha avuto dei risvolti veri. 

Intanto, sono circa 400 le organizzazioni che hanno deciso di divestire dalle fonti fossili, seguendo l'appello di Bill Mc Kibben di 350.org.

Quello che sembrava essere un piccolo gruppo di utopistici sognatori e' diventato un movimento planetario. Nel loro complesso gli aderenti al "divestment committment" valgono $2.6 trillioni di dollari, cioe' 2,600,000 milioni di dollari. Fra i magnifici 400, campus americani, gruppi religiosi e filantropici, fondi pensione e enti locali. Anche la Fondazione di Leonardo Di Caprio fa parte di questo gruppo.

Come detto, non sappiamo perche' queste ditte abbiano deciso di passare alle rinnovabili e di programmare le loro ditte per un futuro il piu possibile petrolio-free.

Certo e' che la spinta verso l'energia green dal basso diventa sempre piu' forte e che e' sempre piu' econonicamente vantaggioso usare le rinnovabili. Secondo alcuni studi di the Climate Group, transizionare al solare comporta ritorni del 27% sugli investimenti iniziali.

E si, lo so che alcune di queste ditte, come la Nestle non sono da prendere ad esempio per quasi niente, ma il fatto e' che se anche la Nestle si convince da sola a entrare nel club delle rinnovabili, allora vuol dire che veramente il futuro e' splendente.

Qui le immagini della "Green big Apple" march di New York di un anno fa.





Friday, September 25, 2015

Texas: primo sistema di rete integrata di energia solare e stoccaggio



Pian piano iniziano ad esplodere tutte le bolle petrolifere.

Forbes Magazine riporta che fino ad un anno fa, i profitti dei petrolieri per ogni progetto erano in media di circa il 15%, adesso si e' calati al 2%. Secondo James Noe, analista di Wall Street "...this is one of the sharpest year-to-year declines in profitability that we’ve ever seen.”

Dopo i licenziamenti, le ristrutturazioni, la chiusura dei pozzi non vantaggiosi, si calcola che circa 1.5 trillioni di dollari in investimenti nel mondo siano a rischio perche' antieconomici in questi tempi di 50 dollari al barile. 1.5 trillioni sono 1,500,000 milioni di dollari.
 
Dal Settembre 2014 ad oggi, nei soli USA e in Canada circa 1,300 pozzi sono stati chiusi. Circa 196,000 posti di lavoro persi. Si calcola che la produzione di petrolio calera' di 400,000 barili al giorno il prossimo anno.

E intanto, il sole silenziosamente avanza. In Texas (in Texas!) nasce uno dei primi sistemi integrati di produzione di energia solare e di stoccaggio di energia. Ha il potenziale di fornire energia per 24 milioni di persone. L'agenzia pubblica che gestisce la rete del Texas si chiama ERCOT,  Electric Reliability Council of Texas.

Negli ultimi anni il sistema non e' piu' funzionale, con forti problemi di stress, specie nelle ore di punta e una utenza sempre piu grande. E cosi si decide di puntare alle rinnovabili.

As renewable energy sources become less expensive and ongoing regulatory developments create a more uncertain environment for some traditional generation sources, ERCOT is seeing growth in wind and solar resources and expects future growth in energy storage. 

Finora, il 10.6% dell'energia di Ercot e' del 10.6%, e il sole solo dell'1%. Ma i piani di espansione sono tutti  per il vento e per il solee per le nuove batterie per stoccarne l'energia, con un investimento enorme di sette miliardi di dollari per un nuovo progetto di transmissione di energia dall'eolico nel deserto.

Se anche in Texas....

Wednesday, September 23, 2015

L'Arabia Saudita, il petrolio e il sole








In Saudi Arabia, we recognize that eventually,
one of these days, we’re not going to need fossil fuels. 
I don’t know when - 2040, 2050 
or thereafter. So we have embarked on
a program to develop solar energy. 
Hopefully, one of these days,
instead of exporting fossil fuels, 
we will be exporting gigawatts of electric power.

I believe solar will be even more
 economic than fossil fuels.