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Sunday, October 18, 2015

L'Amazzonia in vendita al miglior trivellatore -- una storia a lieto fine

28 Novembre 2016 




In un altra vittoria finale, lo stato del Parana' in Brasile ha votato per fermare il fracking per almeno dieci anni.


Bravi tutti quelli che hanno lottato dal basso,
per anni.


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20 Dicembre 2015



Nao Fracking Brasil 

















Di questa storia avevamo parlato ad Ottobre, senza sapere come sarebbe andata a finire. E' la storia di un altro piccolo Davide che lotta contro un enorme Goila, di una comunita' che, contro ogni previsione, riesce a spuntarla contro i petrol-egoisti. Si svolge in Brasile e ha per protagonisti gli indigeni della Valle dello Jurua' che lottavano contro qualcosa di molto piu' grande di loro: le trivelle nella loro foresta. Restano qui le ultime tribu' di persone mai contattate dal mondo moderno, lontane anni luce da quella che noi definiamo civilta'.

Era una lotta quasi senza speranza: il governo del Brasile vendeva concessioni petrolifere in questa valle sospesa fra gli stati di Acre e di Parana, con fracking e senza fracking come se fossero caramelle, senza transparenza e mentendo su cosa esattamente avrebbero fatto in queste concessioni.

Si formano piccole organizzazioni locali, se ne creano di piu' grandi e si raggruppano sotto il nome Nao Fracking Brasil-COESUS (No Fracking Brazil Coalition), guidati da Juliano Bueno de Araujo. Arrivano anche i volontari di 350.org di Bill Kibben e il Conselho Indigenista Missionario (CIMI) del Brasile. Assieme si organizzano, preparano manifestazioni, si fanno intervistare alla radio e alla televisione, creano eventi informativi.  Si cerca di sensibilizzare tutti, che nella giungla non e' facile. Ma sono agguerriti.

Fu cosi' che l'Agenzia Nazionale del Petrolio del Brasile detta ANP il giorno della vendita all'asta di varie concessioni il giorno 9 Ottobre 2015 si ritrovo' sommersa da indigeni, capi tribu, ambientalisti e gringo. Tutti ad esigere spiegazioni e che la loro voce fosse ascoltata. Tutti a voler salvare la foresta. Erano presenti petrolieri ed agenzia di stampa internazionali.

A loro Araujo ricordo' che "Qualsiasi tipo di esplorazione mineraria nella regione avrà un impatto grave e irreversibile su tutte le forme di vita della foresta, sui popoli indigeni, sulle zone costiere e urbane. Non ci fermeremo fino a quando non saranno cancellati tutti gli atti nocivi dell'ANP contro il popolo brasiliano, atti che comprometteranno le nostre forniture di acqua, la nostra agricoltura, la nostra cultura."

Presentano documenti e evidenza di quel che dicono, e chiedono alla corte di fermare la Petrobras nell'assegnazione di queste concessioni. Da un lato associazioni e indigeni dall'altro colossi governativi: il governo federale brasiliano, l'istituto dell'ambiente del Brasile, l'ANP e Petrobras,
tutti d'accordo sul trivellare la foresta. Contro ogni speranza, dopo due mesi, il 16 Dicembre 2015 un giudice del tribunale federale della citta' di Cruzeiro do Sul,  Giovanni Paolo Moretti de Souza, decide senza petrol-pieta' la sospensione la cancellazione di tutte le attivita' petrolifere, con e senza fracking.  Tutte le concessioni gia' date vengono revocate. E' vietato assegnarne di nuove, ed e' anche vietato sorvolare le zona con elicotteri allo scopo di petrol-perlustrare la Valle dello Jurua.  Il giudice parla di gravi illegalita' nell'assegnazione dei permessi, sia da un punto di vista ambientale che sociale. Parla di rischi enormi per l'acqua,  la fauna, la flora, e anche per la vita umana, per la vita quotidiana della gente per il possibile aumento di difetti di nascita.  

Hanno vinto loro, gli indigeni.  

La Petrobras ha avuto dieci giorni di tempo per sospendere tutte le compravendite, e per ogni giorno di ritardo avrebbero dovuto pagare 25 mila dollari. 

Araujo commenta cosi: "Si tratta di una vittoria della vita, della natura e degli uomini di buon senso e di buona volonta' di questo paese". 

Amen, e che ce ne siano tante altre a venire.


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E così il Brasile vende, o cerca di vendere, l’Amazzonia ai petrolieri. Si tratta di 266 concessioni di shale gas in sedici stati del Paese, per la maggior parte nella foresta in cui vivono tribù indigene. Nella lista dei possibili acquirenti Bp, Shell, ExxonMobil Rosneft, Petrobras, Statoil, Premier Oil, Gdf Suez, Total, Anadarko ed altre, per un totale di 37 ditte da 17 paesi.

Fra le località più delicate la Valle del Juruà, il parco Serra do Divisor e la Valle del Javari, tra Bolivia, Peru e Brasile dove vari gruppi indigeni sono approdati da altre parti del Paese dopo essere stati oggetto di violenza da parte di trafficanti di droga, disboscatori e petrolieri in anni passati. Non trovano pace neanche qui. Oltre a loro, si stima che fra queste concessioni vivano circa settantasette gruppi che non hanno mai avuto contatto con il mondo esterno.
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Le 266 concessioni riguardano non solo la foresta che ospita queste comunità indigene, ma anche vari acquiferi sotterranei, aree di produzione agricola e zone di mare note per le migrazioni e la sosta di balene. Ma un gruppo di attivisti detto Coalizão Não Fracking Brasil (Coesus) non ci sta. Chiede che le comunità indigene siano lasciate libere dal fracking. La foresta – con i suoi ritmi, e i suoi tempi – è la vita per queste persone e contaminarne l’acqua e le risorse basilari con sostanze tossiche ed inquinanti significherebbe di fatto la loro decimazione. Fanno parte di Coesus un folto numero di biologi, geologi, ambientalisti, e scienziati.


Per creare maggiore sensibilizzazione, i membri di Coesus fanno viaggi lunghissimi nella foresta per arrivare al parco Serra do Divisor e per parlare con i rappresentanti delle comunità Nawa, Nukini e Puyanawa già esposte al mondo “occidentale” per spiergargli il fracking. I capi tribu dopo lo stupore inziale, si dicono – ovviamente – contrari al fracking e pian piano inizia anche il loro attivismo. Chiedono ai governanti centrali di essere lasciati in santa pace. I movimenti crescono.

I Puyanawa e i Nukini hanno già avuto esperienza con l’uomo bianco: verso la fine del 1800 erano arrivati i tagliatori di alberi da gomma che distrussero il loro habitat, portarono con loro malattie e trasformarono gli indigeni in schiavi da sfruttare per il duro lavoro nelle piantagioni. Gli fu pure imposto di vivere secondo i parametri occidentali, cercando di eliminarne la cultura.

Così si arriva al 9 Ottobre 2015, il giorno dell’asta per le concessioni dell’Amazzonia. E’ stata una piccola catastrofe per il governo, visto che solo 37 su 266 delle concessioni previste sono state assegnate. L’asta pullulava di leader indigeni e di attivisti, i manifestanti hanno organizzato sit in e conferenze stampa su cambiamenti climatici, diritti degli indigeni, ed esperienze passate.

La cosa più sorprendente è che fra gli acquirenti delle concessioni sono ditte minori: le più grandi si sono tutte tirate indietro e non hanno comprato niente. Neanche Petrobras. E poco importa che sia per le proteste, per il crollo dei prezzi, per giustizia sociale. L’importante è che l’86% delle concessioni è rimasto invenduto.

Come dicono in Brasile: Nem aqui e em nenhum lugar desse planeta.


Non qui e non da nessuna altra parte.

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