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Friday, January 23, 2015

La Sicilia e il New York Times



 I love these wines.
I love the lightness of their textures, 
the purity of the red fruit and mineral flavors, t
heir refreshing nature, their elegance and their subtlety.
 

Chissà se Rosario Crocetta e Angelino Alfano leggono il New York Times. Perché è uscito proprio in questi giorni un nuovo articolo sui vini della Sicilia che esordisce così: “For a decade now, Sicily has been among the most exciting wine regions in the world. I’ve fallen in love with reds and whites, wines full of freshness and vitality, complexity and a sense of place, from both Mount Etna in the east and the region centering on Vittoria in the southeast”.

La Sicilia è una delle regioni vinicole più eccitanti del mondo – freschezza, vitalità, complessità e senso di radicamento. Il giornalista dice che se n’è innamorato.

Non parlano mica del petrolio siciliano, o delle trivelle o delle royalties o dell’indotto petrolifero – tutti miraggi che presto diventeranno incubi. Il New York Times parla del miracolo del “nerello mascalese” e del “nerello cappuccio” sull’Etna, e del “frappato” di Vittoria e del nero d’Avola, vini – specie i primi tre – che non erano considerati poi granché fino a venti, trent’anni fa, quando dalle cooperative si capì che occorreva puntare sulla qualità e non sulla quantità. E così hanno spostato la produzione su vini internazionali prima e poi hanno valorizzato i vini locali.
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Non è la prima volta che il New York Times si occupa di vini siciliani: parlano di lovely reds of Mount Etna, e di enticing wines of the Vittoria region. Dicono che sono vulcani di energia, che hanno “verve, grace and energy” e che non sono abbastanza commercializzati negli Usa.

Sono appena tornata da una serie di conferenze sul petrolio in Sicilia vistando Ragusa, Sciacca, Pantelleria, Agrigento, Catania. E’ una regione incantevole – non ci sono autostrade in alcune aree – e così abbiamo attraversato paesini e immense distese di aranceti. Il cibo era magnifico ovunque, il barocco di Ragusa ti coglie all’improvviso, scopri l’unicità del corallo di Sciacca e della sua storia, il passito di Pantelleria che diventa patrimonio Unesco, i maestosi templi di Agrigento. A un certo punto ti accorgi che la storia si mescola – i greci, i romani, gli arabi, i normanni – tutti i con i loro eroi, le loro leggende e loro principesse.

E poi passi per Gela e devi tapparti il naso dalla puzza, o vedi la baia di Porto Empedocle umiliata da ciminiere Enel nel suo punto più bello o vedi la brutta edilizia dei giorni nostri, fatta senza amore e senza rispetto.

Mentre ero lì, ogni tanto pensavo all’articolo di Gian Antonio Stella sul turismo siciliano e della sua “disfatta turistica”, e mi veniva tristezza. Perché? Perché Rosario Crocetta e Angelino Alfano invece di pensare a buchi e ad accordi con i petrolieri e a numeri sparati a casaccio sulle royalties, non fanno un programma a lungo termine per la loro Sicilia? Favorendo le cose che già ci sono e che non sono valorizzate a sufficenza e che portano ricchezza distribuita e duratura. Il pozzo di petrolio e la raffineria creano inquinamento, creano altre Gela, fanno arricchire solo chi le gestisce dall’alto, e per loro essenza sono destinate a finire miseramente. La valorizzazione delle nostre unicità portano benessere per tutti, durano per generazioni a venire, stimolano la creatività e l’imprenditoria locale, e ci rendono aperti al mondo. Sono attività sane.

Ci vuole solo l’intelligenza di programmare e di volerlo. Come le cooperative del vino trent’anni, fa che hanno creato one of “the most exciting wine regions in the world” e che adesso finiscono sulle pagine del New York Times.

Qui invece Luca Zaia, governatore del Veneto: la Repubblica è una, indivisibile e imperforabile

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